Le interviste di Pramzanblog: Giancarlo Dondi IL RUGBY AZZURRO CONTINUERÀ A CRESCERE E L'OVERMACH PUÒ VINCERE LO SCUDETTO

Le interviste di Pramzanblog: Giancarlo Dondi IL RUGBY AZZURRO CONTINUERÀ A CRESCERE E L’OVERMACH PUÒ VINCERE LO SCUDETTO

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Sull’onda del primo successo stagionale in Challenge Cup dell’Overmach Rugby Parma, che oggi nel “campetto” di Moletolo ha battuto 34-29 i francesi del Brive (ottavi nel prestigioso Top 14 transalpino), a conferma dei continui progressi del rugby italiano in campo internazionale anche a livello di club, pubblico molto volentieri l’intervista con il parmigianissimo presidente della Fir, Federazione Italiana Rugby, Giancarlo Dondi, 73 anni, da poco riconfermato per il quarto mandato, e che quindi sarà al timone del movimento rugbistico italiano fino al 2012. Giocatore per nove anni, poi grande dirigente, un ruolo che l’ha portato in giro per il mondo. Ma con il cuore sempre legato a Parma. Entra quindi di diritto anche lui nella galleria delle Interviste di Pramzanblog.

Lei ha giocato nei ruoli di seconda e terza linea nelle Fiamme Oro e nella Rugby Parma: che differenza c’è tra il rugby di ieri e quello di oggi?
Sì, ho giocato dal 1955 al 1964. Prima nella Rugby Parma per due anni, poi, durante il servizio militare, per due anni nelle Fiamme Oro Padova, quindi ancora per sei anni nella Rugby Parma. Il rugby di oggi è più atletico, più veloce, richiede una prestazione professionale di alto livello. Ai miei tempi ci si allenava due volte alla settimana e poi i campi dove si giocava… gli stessi per il calcio e per il rugby. D’inverno erano pantani. Io dico sempre che i giocatori di oggi sono dei “signorini”, rispetto a noi…
Nel 1950, 1955 e 1957 la Rugby Parma vinse tre scudetti: lei aveva rispettivamente 15, 20 e 22 anni. Si dedicò al rugby sull’onda di quei trionfi?
Be’, allora, a Parma, il rugby era sicuramente uno sport “vincente”. Poteva invogliare un giovane. Io mi avvicinai al rugby attraverso i campionati studenteschi. Ero di buona stazza e venni consigliato di dedicarmi a questo sport. Poi avevo amici che già giocavano.

Le interviste di Pramzanblog: Giancarlo Dondi IL RUGBY AZZURRO CONTINUERÀ A CRESCERE E L'OVERMACH PUÒ VINCERE LO SCUDETTO

Che scuola ha frequentato?
Il corso geometri al Melloni e poi ho conseguito il diploma universitario in statistica a Padova.
Anche lei era un abituale frequentatore del Bar Centrale, in via della Repubblica, dove si riunivano gli appassionati di rugby?
Andavo lì per leggere, sulla bacheca esposta davanti al bar, se ero stato convocato per la partita. Ma dentro, nel bar, ci sono entrato poche volte.
Chi erano allora i suoi migliori amici, in campo e fuori?
Ne avevo tanti, di amici. Io frequentato soprattutto Romano Rossi, Vittorio Mutti, Gianni Cattabiani, Renzo Botti.
Da giocatore a dirigente: non riusciva a stare senza rugby, vero? Altrimenti che cosa avrebbe fatto nella vita?
Be’, rugby a parte, ho lavorato tanto nella mia vita. Nel campo siderurgico. Per un po’ mi ero anche allontanato dal mondo del rugby, per motivi di lavoro.

Si è sposato, ha avuto figli?
Sì, sono sposato, e ho avuto due figlie: Elisabetta, che è una sfegatata appassionata di rugby e mi segue ovunque, e Patrizia.
Da 12 anni è presidente della Federazione italiana rugby ed è appena stato confermato per il quarto mandato. Quindi è decisamente “sopra le parti”. Ma è rimasto tifoso della Rugby Parma?
Guardi, innanzitutto le dico che continuo a fare il presidente perché non lo considero una priorità della mia vita. Se avessi desiderato diventarlo a tutti i costi, adesso non sarei qui. E’ stato capito da tutti che faccio questo per passione, per spirito di servizio, perché mi sono sempre interessato di rugby vero, perché sono sempre stato molto vicino alla Nazionale. Io non posso essere “tifoso” di nessuna squadra, ma è evidente che ricordo con piacere il periodo della mia gioventù, quando giocavo. Però non ho mai sofferto di nostalgia.

Parma (città e provincia) ha quattro squadre: un bene o un male?
Se parliamo di un rugby dilettantistico, dove prevale la passione, allora è un bene. Se invece parliamo di un rugby professionistico… allora siamo troppi…
Problema stadio: crede davvero che se ne farà uno nuovo? Mi pare, sentendo in giro, che stia prevalendo lo scetticismo. E lo stadio attuale di Moletolo, provvisorio, vive in base a deroghe…
Io spero vivamente che il nuovo stadio, prima o poi, si faccia. È umiliante vedere che comuni come Viadana e Calvisano hanno ottimi stadi e Parma, con tutta la sua tradizione, è costretta a giocare in un campetto di periferia, dove non c’è nemmeno il posto per parcheggiare. Attenzione, c’è il rischio che questa situazione faccia “rinculare” il rugby nella nostra città. Come parmigiano lo ammetto: è umiliante, molto umiliante.
Che cos’è per lei la parmigianità?
La parmigianità è per me qualcosa di positivo e nello stesso tempo di negativo. Positiva è la genuinità, che ci viene dalla nostra origine campagnola. Negativo è quel non saperci scrollare di dosso quel senso di superiorità, quella convinzione di essere più forti, più belli, e che la nostra città è stata una capitale. Parma, per carità, è bellissima, ma dobbiamo imparare a mettere i piedi per terra.
Ama la lirica?
Tutti in famiglia amano la lirica, invece io sono la pecora nera. Qualche volta mi è perfino capitato di addormentarmi, a teatro.
Parla il dialetto?
Mi capita molto poco di parlarlo, ma mi piace. Quando ero ragazzo lo parlavano tutti, me compreso. Ed è anche per questo che ero scarso in italiano…
Quali sono gli angoli di Parma che ama di più?
Ce ne sono tanti. In particolare il Lungoparma mi regala una grande serenità. E poi il Parco Ducale. Il tratto da via Pisacane verso il Duomo e il Battistero…
La Nazionale di Nick Mallett: quante partite vincerà nel prossimo Sei Nazioni? Tre?
Non sta a me dirlo. Comunque siamo in netta crescita. Per ottenere grandi risultati bisogna fare grandi prestazioni, però non basta. Ci vuole anche un pizzico di fortuna. Vedremo.
Il rugby italiano, con lei alla presidenza, ha fatto passi da gigante. È entrato nel cuore di molti italiani. Ma non teme che alla lunga gli appassionati si stanchino di avere una nazionale bella ma perdente con le grandi?
Facciamo il discorso all’incontrario. Che cosa succederà quando la nazionale italiana di rugby comincerà a battere le grandi?

Il Flaminio, a Roma, resterà lo stadio della Nazionale?
Penso proprio di sì. Siamo arrivati a 34mila posti. E sono sicuro che se ne avessimo di più li riempiremmo egualmente.
La Rugby Parma, cioè l’Overmach, ha le carte in reola per vincere lo scudetto quest’anno?
Il problema è che ogni squadra, pur migliorata, deve prendere l’abitudine a certe performance ad alto livello. Non ci si può trasformare, nel rugby moderno, dal mattino alla sera. Comunque io credo che, sì, quest’anno la Rugby Parma Overmach abbia le carte in regola per poter vincere lo scudetto.

Achille Mezzadri
(Nelle foto, dall’alto /per gentile concessione della Fir/: 1) Il presidente Giancarlo Dondi nel suo ufficio; 2) Primo piano di Dondi; 3) Il presidente Dondi con l’ex ministro Giovanna Melandri e alcuni azzurri)

Chiedi chi era Cilién, il re della burla

Chiedi chi era Cilién, il re della burla

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Io avevo 21 anni quando è morto Cilién, il 27 ottobre 1966, a 69 anni, e quindi ho avuto la fortuna di vederlo (non di conoscerlo) e di apprendere dal vivo” le sue gesta. Dico fortuna, perché Cilién (all’anagrafe Icilio Pelizza) era un monumento alla parmigianità. Un monumento piccolo, perché era alto (si fa per dire) poco più di un metro, ma formidabile per simpatia, carisma, senso della spettacolo. Era un corto-pramzan che tutti amavano, rispettavano, un po’ invidiavano per quel suo straordinario carattere che l’aveva portato a trasformare uno scherzo della natura in un talento. Non era una macchietta, nonostante potesse sembrarlo. Era un uomo di grande spessore. Un valente orologiaio, Cilién: nel suo negozio di via Farini inventò un meccanismo che, grazie all’utilizzo di metalli termosensibili, caricava da solo gli orologi. Un grande attore dialettale, Cilién: amico inseparabile di Alberto Montacchini, noto ai pramzan come Bèrto Montachén, diede vita a memorabili interpretazioni sui palscoscenici di Parma e provincia. Ma non solo nella compagnia di Montachén.

 

Anche quelle di Italo e Giulio Clerici e di Cesare Gobbo e di Peppino Schenoni). Recitò anche in un film, Torniamo in campagna, girato a Parma nel 1934 da Franco Guerci, con Mario Lanfranchi. L’ultimo suo spettacolo fu il 30 settembre 1945, al Teatro Ducale: la rivista “Benvenuta la libertà”, nella quale faceva la parte del corto-sovrano Re Vittorio Emanuele III, mentre Giulio Clerici era Mussolini e Italo Clerici Hitler. Il re della burla, Cilién: con Montachén, ma anche da “solista”, diede vita a scherzi memorabili. Come quello, storico, quando si avvicinò a una signora e le chiese con voce da bambino: “Signora mi aiuta a fare la pipì che non riesco a sbottonare i pantaloncini?”. La signora, premurosa, spolverò il suo senso materno e, aperta la patta, scappò scandalizzata, urlando… Un grande appassionato di moto, Cilién: negli anni Trenta, addirittura, partecipò a diverse gare con una Nsu che si era fatto costruire su misura a Reggio Emilia. Cilién, un corto-pramzan che con il suo metro di vitalità ha saputo entrare nella storia, minima, di Parma.
(Nelle foto, dall’alto: Cilién in una commedia /dal sito Parma in dialetto/, Cilién nel film “Torniamo in campagna /dal libro “Parma e il cinema”, di Roberto Campari, Silvana editoriale, 1986, pag. 17)

Renzo Pezzani: we remember him with a poem

Renzo Pezzani: lo ricordiamo con una poesia

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 Renzo Pezzani: we remember him with a poemIl 14 luglio 1951, nella sua casa di Castiglione Torinese, scompariva il grande poeta parmigiano Renzo Pezzani, autore di un’ottima produzione poetica in lingua italiana, ma ricordato da noi in particolare per la sua trilogia in vernacolo, Bornisi, Tarabacli e Oc luster, tutti editi dal grande editore parmigiano Antonio Battei. Lo voglio ricordare con una delle sue poesie meno famose, ma non per questo meno belle, tratta dall'”Antologia della poesia dialettale parmense” edita dalla “Gazzetta di Parma” nel 1970.

Lävet, cära, lävet ben,
l’aqua la ridda s’la vedda un puten.

L’aqua la canta, la luza, la zuga,
po gh’è la mama ch’at suga.

Minen’ni netti
i n’en pu povretti;

oc pulì
oc bendì:

puten lavè
angiol a pè,
Cost ch’a vdì
l’è al me omm.

Tri ani compì:
un pomm.

Amelio Zambrelli, "mito" pramzan degli anni '60 CHIEDI CHI ERA IL "CONOSCITORE ATMOSFERICO"

Amelio Zambrelli, “mito” pramzan degli anni ’60 CHIEDI CHI ERA IL “CONOSCITORE ATMOSFERICO”

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Amelio Zambrelli, "mito" pramzan degli anni '60 CHIEDI CHI ERA IL "CONOSCITORE ATMOSFERICO"Che tempo farà domani? E dopodomani? Basta andare su “Pramzanblog” e cliccare qui a destra: il link, che porta a IlMeteo.it permette di leggere le previsioni, molto molto credibili, non solo di giorno in giorno ma addirittura di tre ore in tre ore. Prima come si faceva? Nei gloriosi anni Sessanta, a Parma, c’era il “conoscitore atmosferico”. Si chiamava Amelio Zambrelli (1912 – 1983) ed era un omino alto e magro rotolato giù dai monti e dalla lunga barba ispida, che si era presentato ad Aldo Curti, allora redattore capo della “Gazzetta di Parma”, sostenendo che, “secondo il suo acume”, era in grado di dire quale sarebbe stato il tempo il giorno dopo. “Assunto”. La sua rubrica, che terminava ogni volta con la fatidica frase “Sappiatevi regolare”, fu seguitissima, anche se, nonostante il suo “acume” non sempre “ci prendeva”.

Fui io, Pramzan45, a fargli lo scherzo più divertente e nello stesso tempo più atroce. Riporto integralmente il pezzo che gli dedicai nel lontano 1972 su “Parma Bell’Arma”, l’allora strenna natalizia più amata dai parmigiani:
“Zambrelli. Lo scherzo più bello, forse, gliel’ho fatto, fruendo della collaborazione di colleghi, amici e di un poliziotto vero. Era un giorno d’inverno, ma anche di sole. Appuntamento, alle quindici dalla “Wanda”, il bar ad un tiro di schioppo dalla “Gazzetta” (ndr:allora la sede era in via Emilio Casa). Zambrelli arrivò puntualissimo, tenendo tra le mani la lettera d’invito scritta in inglese e contenente, oltre alla traduzione in italiano, una piccola tessera. Diceva la lettera: “Egregio conoscitore atmosferico, avendo appreso dalla stampa le sue notevoli doti di previsione, la invitiamo a far parte dell’Associazione Mondiale degli Inventori Atmosferici, con sede in London. In attesa della investitura ufficiale, che avrà luogo nella suddetta London in gennaio, alla presenza di Sua Maestà Regina Elisabetta, un nostro vicepresidente, Mister Donald Campbell, verrà a Parma per la cerimonia dell’investitura provvisoria, consistente nell’assegnazione della speciale medaglia degli inventori atmosferici”. Il buon Amelio Zambrelli era visibilmente emozionato.

Mezza “Gazzetta” gli era attorno: giornalisti, collaboratori, fotografi. Scattavano i flash, giravano i nastri dei registratori (“è per il giornale radio”, gli assicurammo). Alla combriccola s’era aggregato anche un amico poliziotto in divisa. Non fece niente di particolare, naturalmente, stette solo a vedere, ma la sua presenza diede uno speciale tono di serietà e di importanza alla “cerimonia”. All’arrivo di Mister Donald Campbell (interpretato con flemma tutta britannica da Oliviero) Zambrelli si comportò con grande dignità. Rispose a tutte le domande con precisione, ma approfittò della specialissima occasione per muovere una piccola contestazione. “A proposito dell’invito della Regina”, disse “ho letto che è per il prossimo gennaio in London, vero? Sa, mister Campbell, siccome in quel periodo c’è molto freddo, nn si potrebbe tramandare?…”. Lo scherzo non ebbe un seguito, anche se Zambrelli, in realtà, non si convinse mai che era stata una burla. Anzi, tenne per mesi, in bella mostra, prima sulla giacca, poi sul cappotto, la medaglia di cartone-simil-oro che gli era stata consegnata…
(Pubblico queste foto per gentile concessione della “Gazzetta di Parma”. Dall’alto: Zambrelli con la medaglia dello scherzo, un primo piano e un disegno di Monica).

In attesa di Parma - Udinese

In attesa di Parma – Udinese

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Domenica prossima tutto il “popolo crociato” si augura che Francesco Guidolin, ex allenatore del Parma ed attuale “mister” dell’Udinese, viva una giornata all’insegna del verdiano “croce e delizia”. Delizia perché prima della partita, come annuncia l’ottimo sito Stadiotardini.com dell’amico Gabriele Majo, il Centro di Coordinamento Parma Club, gli consegnerà un premio, a conferma dell’ottimo ricordo lasciato nella nostra città, dove Guidolin ha condotto i crociati prima alla riconquista della serie A e poi all’ottavo posto nello scorso campionato.

Per Guidolin, che il nostro Miclòt, Alberto Michelotti, aveva scherzosamente soprannominato “Lacrima sul viso” per la sua scarsa propensione ad entusiasmarsi, sarà certamente un motivo per sorridere. Poi però… Poi però comincerà la partita e in quel caso nessun supporter crociato si augura che Guidolin possa continuare a sorridere e che anzi una lacrima torni a solcare il suo viso…..

Contrordine compagni (ricordate Guareschi?)

Contrordine compagni (ricordate Guareschi?)

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Anche Pramzanblog, come altri organi di stampa, aveva annunciato che Francesco Guidolin, ex allenatore del Parma, sarebbe stato premiato domani dal Centro Coordinamento Parma Club prima di Parma – Udinese – Invece il premio non ci sarà e Angelo Manfredini, presidente del CCPC, si limiterà a dare una stretta di mano – Prima, a proposito del premio, aveva detto “no”, poi “sì”, poi “no” – Per questo Pramzanblog gli assegna solennemente il Tapiro d’oro
I tifosi crociati che si erano detti contenti, anche attraverso Pramzanblog, del premio che il Comitato Coordinamento Parma Club aveva deciso di dare domani a Francesco Guidolin prima della partita Parma – Udinese, si rassegnino: il premio non ci sarà.

 

Non vogliamo entrare nel merito dei motivi che hanno portato a questo contrordine: semplicemente, non ci sarà. Punto e basta. Ma siccome la notizia ci era venuta da Gabriele Majo, l’attivissimo autore di Stadiotardini.com e Gabriele Majo è un uomo d’onore e un serio giornalista, abbiamo voluto almeno capire perché il presidente del CCPC, Angelo Manfredini, ha prima annunciato il premio e poi l’ha negato. Come ha scritto Majo nel suo sito. Manfredini avrebbe detto: “Si può cambiare idea no? L’altro giorno era giovedì, oggi è sabato”.

 

Motivazione da applausi. Mi ricorda tanto il guareschiano “Contrordine compagni”. Chi ha una certa età, come me, ricorderà le vignette di Guareschi su Candido, dove un “trinariciuto” arrivava trafelato in bicicletta ad annunciare ai compagni un contrordine. Per altro è inquietante l’analogia (ma non potrebbero cambiarlo?) tra l’acronimo del Comitato Coordinamento Parma Club, CCPC e il CCCP, che significava Unione Sovietica. Certo, la politica qui non c’entra per niente, però Pramzanblog vuole almeno prendere una decisione (e domani non sarà seguita da alcun contrordine): assegna solennemente ad Angelo Manfredini, in qualità di presidente del CCPC, il “Tapiro d’oro”. Complimenti vivissimi.

65 anni dopo i bombardamenti

65 anni dopo i bombardamenti

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I bombardieri americani del gruppo Bombardieri 454 tornarono a Parma il 2 maggio, a una settimana di distanza dalla devastante incursione del 25 aprile, che aveva messo in ginocchio la città. Era la loro seconda “visita”. Il primo bombardamento, quello della sera del 23 aprile, fu infatti ad opera dei bombardieri inglesi della Raf. Questa volta l’incursione non colpì a tappeto la città, ma causò un eccidio al Cornocchio di Golese. Prendendo come obiettivo il comparto ferroviario, un bombardiere americano centrò un bersaglio non previsto: un rifugio antiaereo, dove avevano cercato riparo 150 persone, tra abitanti della zona e viaggiatori, scesi frettolosamente da un treno subito dopo l’allarme.
Il rifugio fu sfortunatamentre centrato e vi persero la vita 61 persone. Sul luogo è stato eretto un cippo, davanti al quale ogni anno viene ricordato l’eccidio dalle autorità cittadine. Durante la stessa incursione area fu colpita la Ferrovia, che era l’obiettivo primario, e poi viale Fratti e la Ghiaia.
(Terza puntata. Continua)
(Nelle foto, dall’alto – CLICCARE PER INGRANDIRE – : 1) La ferrovia bombardata; 2) Dopo l’incursione, in viale Fratti; 3) Bombe sui palazzi della Ghiaia)
Le interviste di Pramzanblog: Mario Lanfranchi

Le interviste di Pramzanblog: Mario Lanfranchi

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QUESTA È LA MIA VITA
Dici Mario Lanfranchi e dici tutto: storia della televisione italiana, del cinema, dell’opera lirica, del teatro, del collezionismo di opere d’arte, delle corse dei cavalli e di quelle dei levrieri. Dici Mario Lanfranchi e la memoria ti corre ad Anna Moffo, il soprano italo-americano (ma americanissima dentro) che fu sua moglie per 16 anni. Dici Mario Lanfranchi ed entri in un mondo un po’ retrò (ma non per questo sgradevole) dove lo stile di un gentleman inglese in salsa parmigiana fa rima con il bello, il sapere, il buongusto, l’ironia, dove un signore avanti con gli anni ma non con lo spirito, vive in una villa-castello del tardo Cinquecento (a Santa Maria del Piano, frazione di Lesignano Bagni) con il principale obiettivo quotidiano di non avere fastidi. Per riuscire a intervistarlo ho dovuto corteggiarlo come si fa con una bella donna, spiegandogli che gli avrei portato via un po’ del suo tempo prezioso, non per creargli uno dei quotidiani fastidi che aborrisce, ma per incastrarlo come tassello prezioso nel mosaico della parmigianità che sto costruendo. Forse è stato questo il modo con cui ho convinto questo “grande” di Parma, che ha vissuto a Londra, a Roma, a Milano, a New York e che ha deciso di vivere l’ultimo atto della sua vita terrena da signorotto di campagna, nella sua villa-castello con venti stanze e giardino all’italiana, a concedere l’intervista a Pramzanblog, una piacevolissima chiacchierata che avrei protratto per ore. Eccola.Come preferisce essere chiamato?
Be’, molti mi chiamano maestro. Chissà, in questo ambiente usa. È maestro il cantante lirico, è maestro il regista. Ecco, io sono un regista e molti mi chiamano maestro. Ma lei può chiamarmi semplicemente Lanfranchi.
Come trascorre la sua vita nella sua straordinaria villa-castello, come principe d’altri tempi?
Io non ho molto in comune con certi nobili, in Italia e all’estero, che affittano le loro ville, o parte delle stesse, per feste, banchetti, visite guidate… No, a me piace stare qui a godermi la bellezza e l’incanto di questi luoghi sereni, fare una cavalcatina ogni tanto, dedicarmi all’emozione delle mie collezioni, come quella attuale dei film, con la quale riscopro film anche rarissimi, è un grande piacere…
Come li trova, li compra su Ebay?
No, sarebbe un fastidio insopportabile. Collegarmi, cercare, trattare… Li compro da chi li trova su Ebay…

Lei si considera un dandy, un esteta?
Non ho la presunzione dell’estetica o dell’eleganza. Cerco di investire il tempo che mi rimane nelle sole cose che veramente mi emozionano. Come i film, appunto. I film mi danno tutto questo. Molto più dei libri, che pure ho molto amato.
Vive in una dimora enorme… Non mi dica che si sobbarca il fastidio di gestirla da solo…
Per carità. Ho le pie donne che pensano a questo… La prima è l’ormai mitica Tina. L’ho conosciuta che era ancora una bambina. È una presenza preziosa nella mia vita. Pensi che da tempo mi sono privato anche del fastidio di leggere i giornali. Le notizie me le dà lei ogni giorno, alle cinque del pomeriggio.
La immagino mangiare da solo, davanti a un lungo tavolo antico, con un maggiordomo, oppure la mitica Tina, che le porta i cibi…
Immagina sbagliato. Io mangio in piedi. Rigorosamente in piedi.
In piedi? Come mai?
Da quando vidi Mosè mangiare in piedi un piatto di rigatoni. Fu una specie di apparizione. Un’emozione unica. Ero a Cinecittà e all’orribile mensa di allora di Cinecittà vidi un torreggiante Charlton Heston (era alto due metri) vestito da Mosè (stavano girando “I dieci comandamenti”) che mangiava, appunto, in piedi. Lo conoscevo e lo invitai al mio tavolo. Ma lui mi disse che era sua abitudine mangiare in piedi perché stare seduto a tavola era una perdita di tempo e perché, anche, veniva favorita la digestione. Quelle parole dette da Mosè lì, alla mensa di Cinecittà, mi cambiarono la vita. Da quel momento ho sempre mangiato in piedi. Eppure qualche tempo dopo…

Che cosa accadde qualche tempo dopo?
Accadde che a New York, credo, rividi Charlton in un ristorante, comodamente seduto a tavola con amici. Gli chiesi una spiegazione. “Ma tu non sei quello che mangia in piedi?”. Si mise a ridere. “Ah, già, quella volta che mi hai visto mangiare in piedi vestito da Mosè… Ah, ah, scherzavo”. Rimasi basito. “Ma come, Charlton… Ma tu non lo sai che mi hai cambiato la vita?”.
Facciamo un passo, anzi due, indietro. La sua infanzia negli anni Trenta. Che cosa ricorda della Parma di allora?
Andiamo indietro, eh? Elementari alla San Marcellino, poi un anno al Romagnosi e infine al Maria Luigia. Mio padre era presidente del consiglio del Maria Luigia ed era contrario, ma io soffrivo molto perché tutti i miei amici erano là. Feci di tutto per farmi togliere dal Romagnosi. Facevo per esempio le rime in latino maccheronico. Mi ricordo che un giorno il professore di latino, Bartoli, arrivò a dirmi “Io ti odio”. Comunque riuscii a passare al Maria Luigia… Tra gli insegnanti avevo Attilio Bertolucci.
Il periodo della guerra: come l’ha vissuto?
Ricordo il terrore dei bombardamenti del ’44. Dopo lo spavento i miei, per prudenza, mi mandarono a Milano a casa di un’amica. Ma mi beccai un devastante bombardamento pure lì…

Come è nata la passione per il teatro?
Mio padre era Sovrintendente del Teatro Regio. Fu in casa che assorbii il morbo del teatro. Papà mi aveva trovato un posto alla Montedison, ma ormai la mia scelta l’avevo fatta. Con un patto: Accademia e Università. Insieme. La prediletta Accademia dei Filodrammatici, a Milano, e l’odiata Università (giurisprudenza) sempre a Milano.
Visto che fu chiamato da Sergio Pugliese alla Rai, si considera tra i “padri” della Tv italiana?
Questo lo dice lei… Comunque, sì, è vero, Pugliese mi chiamò perché mi conosceva, visto che venivamo entrambi dal teatro di prosa. In effetti fu io a spingere per portare l’opera in Tv. Fu un grande successo.
Nel ’56 portò in Tv la “Butterfly” con Anna Moffo. La conobbe lì?
L’opera andò in onda all’inizio del 1956, ma tutto andò in porto, ovviamente, l’anno prima. A Spoleto mi parlarono di una ragazzotta americana di genitori italiani, Anna appunto, che era brava e che era in Italia per aver vinto la borsa di studio Fullbright. La vidi a un saggio, con un parruccone enorme in testa che mi disgustò. Scappai. Allora puntai su una serie di audizioni. A un certo punto mi trovai davanti questa cantante eccezionalmente bella, molto brava e trasecolai: era quella del parruccone. Cantava meravigliosamente. La scritturai. E fu la prima Butterfly della Tv italiana. Poi diventò mia moglie.

Fu un grande amore: che cosa ricorda della Moffo?
Anna era una donna di rara bellezza e con lei ho vissuto una lunga storia d’amore. Che mi è anche costata, ma con piacere. Faccio un esempio: io avevo deciso di tentare la strada della regia cinematografica e così nel 1960 mi trasferii, con Anna, a Roma. Abitavamo in una bellissima casa davanti al Palatino. Ero circondato da opere d’arte moderna, la mia grande passione di allora. Lei cominciò a dire: “Qui siamo un po’ stretti”. Allora la accontentai e andammo a vivere a Palazzo del Grillo.
Lo storico palazzo del marchese del Grillo?
Esatto. Lo storico palazzo del Marchese del Grillo. Ambienti solenni, enormi, soffitti affrescati. Un gioiello. Quando Anna vide per la prima volta la nuova dimora si mise a piangere dalla felicità. “Ecco Mario, questa è la mia casa”, mi disse. Io avevo quella collezione d’arte moderna che stonava un po’ in quegli ambienti sontuosi, ricchi di storia. E così me ne privai. Per amore di mia moglie, che era felice di vivere lì, me ne privai.
Acquistò quella dimora a Palazzo del Grillo?
No, non era in vendita. Ma rimanemmo in affitto lì per quindici anni.
Perché divorziò, nel 1974, da Anna?
Perché lei voleva far gravitare la sua carriera sull’America. Era sempre rimasta fondamentalmente “americana”. Ma io ormai in Italia avevo impegni ai quali non potevo più rinunciare, come, per esempio, una casa di produzione in società con Sandro Bolchi. Così andò a finire che, ancora sposati, lei andò a vivere negli Stati Uniti e io rimasi a Roma. Fu il preludio al divorzio.
Lei è stato un cosmopolita: ha vissuto a Milano, Roma, New York, Londra: quale di queste città ha amato di più?
In un modo o nell’altro, tutte. Ma Londra in particolare, dove sono stato vent’anni. E ho sempre nel cuore la Milano della mia giovinezza. Era la Milano del dopoguerra, della riapertura alla vita, della ricostruzione, del fermento culturale…
Lei con Sandro Bolchi ha anche prodotto, oltre a storici “Caroselli”, romanzi sceneggiati, film, spettacoli teatrali, anche il ciclo “Tutto Totò”…
Sì, fu un grande successo. Il principe De Curtis, così si chiamava, in quel periodo aveva dei problemi con il fisco e non poteva lavorare in film prodotti dalla Rai perché il fisco gli avrebbe sequestrato gli introiti alla fonte. Allora, al corrente della situazione, decidemmo di produrre noi una serie di dieci film, che poi la Rai mandò in onda.

Due grandi passioni: i cavalli e i levrieri da corsa e il collezionismo. Con i cavalli, soprattutto nel trotto, ha vinto le più grandi corse. E con i levrieri ha avuto un campionissimo, “El Tenor”…
Sì, grandi passioni. Che mi hanno anche dato grandissime soddisfazioni. Ho vinto molto con i miei cavalli, ho vinto molto con i miei levrieri, in particolare El Tenor, che vinse ben 102 Gran Premi.
Opere d’arte antica che sono state sue ora si trovano a Brera, alla Galleria nazionale dell’Umbria, al Metropolitan di New York.
Sì. Dopo aver venduto la mia collezione d’arte moderna mi ero buttato su quell’antica. Avevo opere molto belle. Ma il primo acquisto fu una bufala.
Che cosa accadde?

Accadde che gli eredi dell’ex Cancelliere tedesco Konrad Adenauer avevano messo in vendita la sua collezione di quadri a un’asta a Lucerna. Io non volli andare sprovveduto a quell’asta. Mi preparai con attenzione. Quando fui là riuscii ad aggiudicarmi, della collezione Adenauer, un quadro favoloso, attribuito a Bernardo Daddi. Tornai in Italia trionfante. Lo dissi Urbi et Orbi. E mandai una fotografia del quadro a Federico Zeri, il grande critico. Lui non era abituato a fare expertise e non rispondeva a lettere come la mia. Ma nel mio caso fece uno strappo. Mi rivelò che quel quadro era uno “spurgo antiquariale”. Insomma, un falso colossale. Una crosta. Bellissima, ma una crosta. Poi divenni molto amico di Zeri.

Lei ha anche una gran biblioteca…
Potrebbe essere più grande se un mio antenato, che si chiamava Luigi Balestra, non avesse lasciato in eredità i suoi straordinari libri alla Biblioteca di Busseto. E lì, infatti, c’è la Sala Balestra. Una rabbia… Lo sa che nella mia dimora tengo appeso un suo ritratto proprio perché, quando ci passo davanti, posso maledirlo? Una rabbia mi fa venire, mi fa…
Che cos’è per lei la parmigianità?
Lo spirito parmigiano. Quella specie di scintilla, quel fervore che ti esplode all’interno, quel qualcosa che riesce a darti nei rapporti umani qualcosa di più. Parmigianità è generosità, è colore, è tutto. Io ho girato molto nella mia vita , ma Parma l’ho sempre portata con me, nel cuore.

Nella sua villa non ammette visitatori paganti, però, una volta all’anno, apre i cancelli…
Sì, per gli “Spettacoli in villa”. Anch’io recito qualcosa, rispolverando il mio passato d’attore… Cominciò tutto con “Villa Lanfranchi apre i cancelli”. Doveva essere uno strappo alle mie abitudini, un “numero unico”. Invece… Comunque sono contento.
Però ne ha di tempo per godersi la sua pace. Magari con qualche cavalcatina nel suo giardino privato, quello dove può accedere soltanto lei…
Be’, l’amore per i cavalli non mi è mai passato, ma… Lo sa quel detto, vero, “Bacco, Tabacco e Venere”? Be’, alla mia età lo devo trasformare in “Bacco, Tabacco e Femore”. Se mi rompessi un femore sarebbe un fastidio, ma un fastidio…

Achille Mezzadri
(Nelle foto, dall’alto: 1) Mario Lanfranchi; 2) Mario Lanfranchi mentre recita; 3) Villa Lanfranchi a Santa Maria del Piano; 4) Lanfranchi con la moglie Anna Moffo; 5) Palazzo del Grillo, a Roma, dove Lanfranchi abitò 15 anni con la Moffo; 6) Lanfranchi in una foto giovanile; 7) e 8) Due primi piani mentre recita / Le foto 1), 2), 7) e 8) sono di Luca Venturini © e sono tratte dal sito dell’Associazione Culturale “Accademia degli Incogniti” di Langhirano che organizza il Festival di Torrechiara)

La statua di Corridoni trasloca per restauri: prima del 1927 al suo posto c'era una fontana

La statua di Corridoni trasloca per restauri: prima del 1927 al suo posto c’era una fontana

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Il monumento a Filippo Corridoni ha traslocato nei magazzini comunali di via Spezia, dove sarà sottoposto a complessi lavori di restauro (che costeranno 115.000 euri). I lavori, per la verità, erano già cominciati nel marzo scorso, ma poi erano stati interrotti perché la situazione strutturale e di sostegno era troppo critica per procedere in loco. Il restauro dovrebbe durare attorno ai sei mesi, quindi Corridoni dovrebbe tornare nella “sua” piazza, nell’Oltretorrente dove nel 1908, quando ancora si chiamava Piazza della Rocchetta, con De Ambris organizzò gli scioperi agrari, entro la prossima estate.
Il monumento, inaugurato il 30 ottobre 1927 alla presenza del duce Benito Mussolini, nel decennale della scomparsa di Corridoni, fu progettato dall’architetto Mario Monguidi e realizzato da Alessandro Marzaroli. Per almeno sei mesi, dunque, la piazza resterà “vuota” e tornerà ad assomigliare un po’ di più a com’era prima dell’arrivo di Corridoni. Lì infatti, in Piazza della Rocchetta, al posto della statua c’era una fontana, come vediamo nella foto dell’epoca.
MA CHI ERA FILIPPO CORRIDONI e perché il fascismo, parecchi anni dopo la sua scomparsa, si appropriò della sua figura di combattente facendone un simbolo della sua ideologia? Filippo nacque Pausula, poi ribattezzata Corridonia, in provincia di Macerata, il 19 agosto 1887 e cominciò a partecipare giovanissimo alla vita politica come socialista rivoluzionario. Così nel 1908, assieme ad Alceste de Ambris (del quale divenne poi anche parente, perché sua sorella sposò suo fratello) organizzò lo sciopero generale agrario divenuto memorabile per durata, partecipazione e determinazione.
Formatosi come antimilitarista (finì anche in carcere per questo), si convertì poi all’interventismo, schierandosi, anche con un aiuto finanziario, a fianco di Mussolini (allora ancora socialista) per l’intervento e divulgando il senso della partecipazione italiana alla Grande Guerra alle masse operaie e contadine. Lui stesso diede l’esempio, arruolandosi volontario in fanteria nonostante fosse minato dalla tisi. Fu assegnato alle retrovie, ma volle egualmente raggiungere la prima linea e cadde da eroe sul Carso, durante l’assalto e la conquista della celebre “Trincea delle frasche”, il 23 ottobre 1915. Questa la motivazione con la quale gli fu assegnata la medaglia d’oro al valor militare: “Soldato volontario e patriota instancabile, col braccio e la parola tutto sè stesso diede alla Patria con entusiasmo indomabile. Fervente interventista per la Grande Guerra, anelante alla vittoria seppe diffondere la sua tenace fede fra tutti i compagni, sempre esempio per coraggio e valore. In testa alla propria compagnia, al canto di inni patriottici, muoveva fra i primi con sereno ardimento all’attacco della difficilissima posizione e tra i primi l’occupava. Ritto, con suprema audacia sulla conquistata trincea, al grido di “Vittoria! Viva l’Italia” incitava i compagni che lo seguivano a raggiungere la meta finchè cadeva fulminato dal piombo nemico”.

Così “Il Popolo d’Italia” due anni dopo la morte di Filippo Corridoni, scrisse in un articolo firmato da Mussolini:
“Egli era un nomade della vita, un pellegrino che portava nella sua bisaccia poco pane e moltissimi sogni e camminava così, nella sua tempestosa giovinezza, combattendo e prodigandosi, senza chiedere nulla… Leviamoci un momento dalle bassure della vita parlamentare; allontaniamoci da questo spettacolo mediocre e sconfortante; andiamo altrove col nostro pensiero che non dimentica; portiamo altrove il nostro cuore, le nostre angosce segrete, le nostre speranze superbe, e inchiniamoci sulla pietra che, nella desolazione dell’Altipiano di Trieste, segnò il luogo dove Filippo Corridoni cadde in un tumulto e in una rievocazione di vittoria”. Benito Mussolini, “Il Popolo d’Italia”, 23 ottobre 1917
(Nelle foto, dall’alto – CLICCARE PER INGRANDIRE – : 1) Il monumento a Filippo Corridoni; 2) La piazza con la fontana, prima che venisse collocato il monumento a Corridoni; 3) Filippo Corridoni; 4) Corridoni /primo a sinistra/ con Mussolini: alleati nell’interventismo nella Grande Guerra; 5) La prima pagina della “Gazzetta di Parma” del 30 ottobre 1927, dedicata interamente all’inaugurazione del monumento a Corridoni; 6) La presenza di Mussolini all’inaugurazione)

UN VENTICINQUE APRILE DI DISTRUZIONE E MORTE

UN VENTICINQUE APRILE DI DISTRUZIONE E MORTE

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Un venticinque aprile da non festeggiare. Sì, proprio il 25 aprile. Un anno dopo anche Parma, come tutte le città italiane, avrebbe accolto in festa i “liberatori”. Ma adesso, in quel 25 aprile del ’44, i liberatori erano lì per fiaccare la resistenza repubblichino-nazista e quindi a seminare distruzione e morte. La nuova Apocalisse arrivò alle 12,15. Quando stavano per essere celebrati i primi funerali solenni dei primi 15 morti di due sere prima. Questa volta il bombardamento fu ancora più vasto e devastante di quello di due sere prima. Dai libri e dai vari documenti storici risulta che furono colpiti questi “bersagli”: Piazza Garibaldi, Via Mazzini, via Cavour, Borgo Santa Brigida, borgo San Biagio, via Cairoli, Borgo Antini, Borgo Regale, Piazzale San Lorenzo, Via XXII luglio, Borgo Felino, Borgo Riccio, Viale delle Rimembranze, Orto Botanico, Chiesa di San Pietro, Chiesa della Steccata, Chiesa della Trinità, Chiesa di Santa Maria delle Grazie, Seminario Maggiore, via Farnese, Asilo Guadagnini. Più di 130 morti, più di 150 feriti. 
Di quella seconda devastante incursione aerea anglo-americana scrisse, tra l’altro, Arnaldo Barilli: “Passavano e ripassavano sulle nostre teste chine i motori rombando; udivamo il sibilare delle bombe, ne seguivamo il cammino con il respiro sospeso. Ne udivamo lo schianto. Dove avranno colpito? Ci chiedevamo. Da Piazza Garibaldi scomparve il palazzo dei Conti Bondani, che ospitava la Banca Commerciale; in frantumi l’inizio di via Mazzini, danneggiata la Chiesa di S. Pietro. Anche via Cavour ne soffrì … miracolosamente indenne la cupola della Basilica di S. Giovanni, per lei hanno pagato via Cairoli, il Seminario, via Venti marzo,  e l’elenco prosegue all’infinito  … fino agli  angoli periferici della città. L’animo non regge – conclude Barilli – a riandare e enumerare tanta iattura. E solo ci si consola pensando che per l’amore e per la tenacia dei suoi figli Parma saprà risorgere dalle sue ceneri, più bella di prima.
La “Gazzetta di Parma”, che in quel periodo di guerra non era nelle mani della famiglia Molossi (che era uscita dalla proprietà nel ’28), ma del Governo repubblichino, diede notizia del nuovo bombardamento nell’edizione del 28 aprile, con un articolo su tre colonne dal titolo “Violento attacco terroristico sul centro della città”. Si legge tra l’altro in quell’articolo:  “…Per gli edifici sinistrati si contano chiese e collegi: la Basilica dela Steccata, insigne monumento d’arte e di fede, la Chiesa di Santa Teresa, il Collegio femminile di San Carlo, il Collegio salesiano di San Benedetto e la Chiesa parrocchiale annessa, altre due chiese, l’Asilo infantile Guadagnini, il Seminario Maggiore, la Piazza del Mercato e vari Palazzi sede di Istituti di credito e di uffici.”
Ma accanto a questo articolo venne pubblicato anche un trafiletto con un pesante attacco al grande direttore d’orchestra parmigiano Arturo Toscanini, esule negli Stati Uniti” perché contrario al fascismo.

GRAZIE TOSCANINI!

Ecco il testo di quel trafiletto, intitolato “Grazie Toscanini!”: “I “liberatori” acquistati con i dollari raccolti nei concerti di “beneficenza” in cui hai profuso la tua insuperabile arte, hanno seminato la distruzione e la morte sulla tua città. Grazie, grande concittadino, grazie a nome dei bimbi, delle donne, dei lavoratori straziati dalle tue bombe. Grazie per le Chiese, per le case, per le strade della tua Parma distrutte e sconvolte. Grazie per questo messaggio di morte che ci hai mandato da lontano, dalla tua comoda casa di oltreoceano, forse in un momento di… nostalgia. E con te ringraziamo anche gli ammiratori – eterni illusi – che ti credevano il Dio protettore della loro vita e della loro Parma! Grazie, le bombe hanno spezzato un diaframma di auree menzogne, dietro al quale è possibile a tutti finalmente vedere la tua anima immonda di rinnegatore della Patria”.
(Seconda puntata. Continua)
(Nelle foto, dall’alto: 1) La Chiesa di San Pietro, in piazza Garibaldi, colpita pesantemente; 2) Le ferite della Chiesa della Steccata; 3) Case sventrate in via Cairoli; 4) Devastazioni in via Cavour; 5) L’asilo infantile Guadagnini distrutto; 6) La cronaca della “Gazzetta di Parma” del 28 aprile 1944; 7) Il trafiletto “Grazie Toscanini!”)